A capocchia
9 Marzo 2012, Gian Antonio Stella, parlando di disparità di stipendio tra commessi parlamentari e direttori di musei, dice:
Che senso ha che lo Stato tratti con tanta disparità, a capocchia, figli e figliastri?
1994, comune di Gravina in Puglia, elezioni Comunali. Si lavorava con Luca alla prima versione di “Elezioni Comunali per Windows”, una applicazione che predatava quanto oggi si può fare in quattro righe con Adobe Flash. Ci si barcamenava con la calcolatrice nell’individuare le “sezioni campione” e Berlusconi (in persona?) inviava da Milano una “signora esperta in sondaggi” che aveva determinato, tramite pochissime interviste telefoniche, una netta vittoria del candidato del centro destra. Ci chiesero se potessero generare “la grafica” per quei dati e Luca stizzito disse che non voleva metterci la faccia e il nome su dati ottenuti con il “metodo a capocchia”. Ora c’è da precisare che la parola capocchia, in gravinese, ha un significato occulto designante una parte ben precisa del membro maschile. E “metodo a capocchia” aveva una accezione molto diversa da quello che aveva “captato” la signora milanese a cui la locuzione “a capocchia” suonava talmente bene da ripeterla almeno quattro o cinque volte in diretta tivvì (e la TV era locale!).
Mi piace credere che l’espressione atterrata sulle pagine del corriere di oggi sia in un certo senso nata in quella precisa occasione; ed io c’ero.
-quack